Metalmeccanici: reddito, non lavoro

I contratti vengono e i contratti vanno, ma i padroni continuano a tramare sempre contro la classe operaia.

Le federazioni di categoria di CGIL. CISL e UIL hanno proclamato uno sciopero delle lavoratrici e dei lavoratori del settore automobilistico per il giorno 18 ottobre, con manifestzione nazionale a Roma. Questa giornata di lotta ha ricevuto anche il plauso di giornali padronali e filogovernativi. Di fronte al massiccio aumento dei ritmi e degli straordinari, accompagnati da cassa integrazione, esodi incentivati e licenziamenti, i sindacati concertativi non hanno trovato di meglio che chiamare la classe operaia occupata nel settore automobilistico a lottare per gli interessi dei padroni. Nel comunicato diffuso dalle burocrazie sindacali si legge, oltre ai piagnistei sulla crisi dell’auto, la richiesta esplicita al governo di mettere risorse pubbliche a disposizione delle multinazionali del settore “a fronte di garanzie occupazionali”.
Ma come si comporta Stellantis negli altri stati? Pubblichiamo sotto un estratto da un articolo pubblicato sul sito statunitense “Labor notes”, dedicato al comportamento della multinazionale automobilistica negli USA

FABBRICHE COME VACCHE DA MUNGERE
La società Stellantis, negli Stati Uniti, aveva annunciato nel dicembre 2022 che stava chiudendo l’impianto di assemblaggio presso il mastodontico complesso di Belvidere, in Illinois; un anno dopo tutti i posti di lavoro erano spariti, dando puntualmente seguito a quanto annunciato. La medesima società, nello scorso anno, in seguito ad un accordo ha stabilito che nel 2024 avrebbe lanciato un hub di distribuzione di componenti nello tesso stabilimento; ad oggi non si vede ancora niente di quanto promesso. Analogamente Stellantis ha assicurato nel contratto che nel 2028 avrebbe costruito anche un nuovo impianto di batterie da 3,2 miliardi di dollari nello stesso complesso, e che entro il 2027 avrebbe investito 1,5 miliardi di dollari per riprendere la produzione, nel medesimo sito, di un camion di medie dimensioni, il Dodge Dakota. Quindi la società avrebbe creato 5.000 nuovi posti di lavoro negli Stati Uniti. Ma Stellantis ora dice che a causa delle “condizioni di mercato”, tutti questi piani sono “rinviati”. Gli impegni perfettamente mantenuti quando si trattava di far sparire posti di lavoro, vengono invece del tutto disattesi quando si tratta di creare posti di lavoro.
“Non abbiamo altra scelta che scioperare per costringere questa società a rispettare gli accordi”, ha dichiarato Stephen Hinojosa, membro di UAW Local 12 e leader del team di produzione presso il Toledo Assembly Complex.
Toledo è una delle più grandi fabbriche di produzione di Stellantis del paese, dove 5.000 lavoratori hanno dato prova di straordinaria compattezza nel primo giorno dello sciopero di stand-up un anno fa. È stato anche uno degli impianti in cui i lavoratori hanno votato contro l’accordo nazionale che ha posto fine a quello sciopero, criticando in particolare la struttura dei bonus, la conversione dei lavoratori temporanei, le disposizioni su ferie e straordinari.
I problemi dell’impianto sono in ebollizione da tempo. Hinojosa paragona Stellantis al private equity: tratta le sue fabbriche di automobili statunitensi come vacche da mungere fino all’estremo.
“Sono arrivati”, ha detto. “Hanno ridotto tutto fino all’ultimo centesimo, e succhiano ogni profitto possibile. E quando arrivano ad un punto in cui non c’è più nulla da tirare fuori come profitto dal prodotto, vendono l’impianto come rottame”.
Questo è il modus operandi dell’amministratore delegato Carlos Tavares. “Ogni volta che ha preso il controllo di un’azienda, ha tagliato la produzione e relegato i posti di lavoro in luoghi dove la manodopera è più economica; è così che è stato in grado di rendere redditizie quelle società” ha detto Hinojosa.
In un brillante profilo del 2023 sul quotidiano francese Le Monde, Tavares è stato descritto come un “samurai, ossessionato dal lavoro, esigente, freddo, veloce e con un’enorme efficienza”, caratteristiche che gli attribuiscono il merito di aver risollevato la casa automobilistica francese Peugeot dopo la bancarotta e di aver ricompensato gli azionisti con lucrosi dividendi.
“Per raggiungere tali imprese, Tavares ha scosso l’azienda con riduzioni del personale, competizione tra impianti, drastico controllo dei costi e pressione sui team”, ha scritto Le Monde.
Il metodo di Tavares è descritto come ferocemente competitivo in un mondo darwinista. “Solo il
Il meglio sopravviverà”, ha detto. “Quando parlo con un operaio degli obiettivi che mi sono prefissato per il suo stabilimento, gli dico: È impegnativo, ma se non si riesce a raggiungere questi obiettivi, sarete in una posizione vulnerabile. Solo le prestazioni proteggono”, ha detto Tavares a Le Monde.
Sono sempre “condizioni di mercato” quando si tratta di licenziare un operaio o chiudere uno stabilimento. Non sono mai “condizioni di mercato” quando si tratta invece di aumentare la retribuzione degli amministratori delegati del 56%. Carlos Tavares sta dicendo ai lavoratori americani dell’auto: ‘Le condizioni di mercato sono per te, ma non per me’.

AUMENTARE I PROFITTI, LICENZIARE I LAVORATORI
Stellantis è una bestia vorace. Come il dio romano Saturno, che mangiava i propri figli per evitare che sfidassero il suo potere, Stellantis ha divorato le divinità aziendali minori in una furia di ricerca del monopolio. Formata nel 2021 attraverso una fusione di Fiat Chrysler e del gruppo francese PSA, è diventata la società madre di 14 marchi automobilistici, tra cui Jeep, Ram Trucks e Chrysler, e una delle case automobilistiche più redditizie del mondo, con un utile netto di 20 miliardi di dollari l’anno scorso.
Stellantis ha licenziato migliaia di lavoratori automobilistici statunitensi e 2.450 saranno licenziati il mese prossimo. L’azienda ha ridotto la sua forza lavoro mondiale di 47.500 (su 242.000 totali) da dicembre 2019 al 2023; tutto questo mentre accumula profitti ingozzandosi di sacrifici umani.
Il taglio dei costi fa parte del piano di Stellantis per raddoppiare le entrate entro il 2030, ma le cose non vanno esattamente secondo le aspettative aziendali. Le vendite statunitensi dei suoi marchi sono crollate del 21% nel secondo trimestre, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, e l’utile netto è diminuito di 6 miliardi di dollari, con un calo del 48% nei primi sei mesi.
Le vendite sono in calo, i profitti sono in calo e la retribuzione del CEO è molto, molto in alto, ma il problema non è il mercato: infatti alla General Motors e alla Ford, le vendite di auto sono aumentate. Il problema quindi non sono gli automobilisti, il problema è Carlos Tavares.
Tavares è uno dei dirigenti automobilistici più pagati al mondo, con un compenso totale di 39,5 milioni di dollari. Stellantis si è impegnata a 3 miliardi di dollari in riacquisti azionari quest’anno e ha già dato 5 miliardi di dollari di dividendi.
A luglio, Tavares ha incolpato i lavoratori automobilistici per il crollo delle vendite, che ha preso di mira lo stabilimento di Sterling Heights, nel Michigan, per la produzione di pick-up RAM 1500 di scarsa qualità, che ha ridotto il numero di veicoli che hanno ottenuto la certificazione di qualità e ha ritardato le consegne ai concessionari.
Una rete di concessionari statunitensi, invece, ha accusato Tavares di “rapido degrado” dei marchi della casa automobilistica e di “decisioni a breve termine”.
Non si tratta tanto di una storia di crisi che segue il boom, quanto di una cattiva gestione che scarica le responsabilità sui lavoratori e sugli azionisti, mentre il capo taglia la produzione e riduce la forza lavoro.
“Il capitale protegge gelosamente il suo ‘diritto di gestire’ da qualsiasi influenza del lavoro, eppure in qualche modo è sempre colpa del lavoro quando il management sbaglia”, ha detto Brian Callaci, economista capo dell’Open Markets Institute, un’organizzazione no-profit che si occupa di studiare la morsa che i monopoli aziendali hanno sulla democrazia.
Stellantis sta richiamando milioni di veicoli, tra cui la Jeep Wrangler e il Gladiator costruiti a Toledo. I tagli di posti di lavoro dell’azienda hanno portato a un minor numero di ispettori di qualità e a una diminuzione dei controlli nelle catene di fornitura.

AL CARRO DELLE MULTINAZIONALI
La situazione in Europa non è migliore. Nel mese di agosto del 2024 le auto di produzione Stellantis immatricolate nell’Unione Europea, negli stati aderenti all’EFTA e nel Regno Unito sono state 103.612, con una riduzione del 28,7% rispetto ad agosto 2023. La riduzione delle immatricolazioni di auto di produzione Stellantis nei due primi quadrimestri del 2024 è stata del 3,3 rispetto al 2023, per un totale di 1.491.967. Nello stesso periodo la quota di mercato si è ridotta, passando dal 17 del 2023 al 16,2 di quest’anno.
Al di là delle parole grosse contro Stellantis e l’amministratore delegato Tavares, la mobilitazione dei sindacati concertativi ha lo scopo di spingere il governo a sostenere l’industria automobilistica e a creare condizioni favorevoli affinché continui a produrre in Italia, cioè garantisca profitti sostanziosi a spese della collettività. Non è casuale che tutto questo accada mentre la trattativa per il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici è in alto mare: la minaccia di licenziamenti e cassa integrazione è da sempre ritenuta dai padroni un ottimo strumento per fiaccare qualsiasi resistenza operaia.
Un esempio della strategia sindacale è dato dalla fabbrica di Termoli, che nei progetti Stellantis dovrebbe produrre batterie per le auto elettriche e dare lavoro a duemila persone. Il governo si era impegnato a contribuire con 400 milioni del PNRR, che però sono stati destinati ad altri investimenti, perché la direzione della nuova fabbrica ha deciso di rinviare l’investimento, sia per il rallentamento della domanda di auto elettriche in Italia, sia per la necessità di un aggiornamento tecnologico sulle batterie da produrre. Ora i sindacati chiedono, fra le altre cose, il mantenimento dell’impegno di 400 milioni di soldi pubblici.
Facciamo un po’ di conti. L’investimento totale è di due miliardi, di cui 400 milioni verrebbero dal PNRR; se i due miliardi venissero dati direttamente alle persone occupate, si tradurrebbero in un reddito annuo di 50 mila euro a testa per 50 anni, senza inquinamento, senza aumentare l’estrattivismo, facendo diminuire le malattie.
Dobbiamo liberarci dall’etica del lavoro, che è solo sfruttamento per la classe operaia e saccheggio dell’ambiente, dobbiamo liberarci dall’idea di difendere i posti di lavoro: con questa logica i sindacati concertativi hanno firmato migliaia di accordi al ribasso su salari, diritti, servizi pubblici. Se vogliamo vincere dobbiamo unire tutte e tutti, chi ha un’occupazione e chi non ce l’ha, chi è a tempo indeterminato e chi no, per una battaglia generale per il reddito. La vicenda dello sciopero del 18 dimostra ancora una volta che i sindacati concertativi sono solo i galoppini delle multinazionali, organizziamoci nei sindacati di base, conflittuali e di azione diretta.

Tiziano Antonelli

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